È innegabile: l’universo maschile non subisce lo stesso tipo di pressioni. Nell’immaginario comune le donne devono essere belle, seducenti, naturalmente inclini alla maternità, in costante attesa di essere salvate da un famigerato principe azzurro, perfette, moderate, mai sciatte e delicate. Ed è di conseguenza a quest’idea che le bambine vengono educate, senza alcun rispetto della personalità di ognuna.

Quasi a inculcare loro atteggiamenti, modelli, credenze più o meno consce. Ne abbiamo parlato con il dottor Matteo Monego.

  • Spesso le bambine sono più fragili e più insicure rispetto ai bambini della stessa età. Perché?

Credo che il motivo di questa differenza sia da attribuire all’educazione e ai modelli che i bambini apprendono dalla società (scuola, televisione, giochi, etc.). Ai bambini si attribuiscono spesso modelli di forza, di carriera, di responsabilità future, di beni di consumo “vincenti”: in età adulta, infatti, i maschi sono maggiormente soggetti a crolli se non riescono a rispecchiare il modello “dell’uomo che non deve chiedere mai”.

Sulle bambine, invece, vengono spesso proiettati modelli di riferimento basati sulla bellezza, sulla capacità di seduzione, sul controllo di sé e sul ruolo materno. Se ci pensiamo l’immaginario riprodotto dalle fiabe più tradizionali presenta ruoli distinti e stereotipati: ai bambini spetta il ruolo di cavaliere che, fra mille avventure, arriverà a salvare la principessa e la condurrà verso una vita migliore (Biancaneve ne è un esempio paradigmatico); alle bambine, per contrasto, spetta il ruolo di principesse, la cui felicità è sempre e comunque fortemente legata all’arrivo del principe azzurro.

Sembra quindi che l’identità femminile possa essere conseguita solo grazie ad una sorta di completamento, con un uomo o con un figlio.

Fortunatamente la produzione più recente di film di animazione presenta figure femminili e maschili con ruoli interscambiabili, grazie ai quali alle protagoniste vengono attribuite virtù quali la forza, il coraggio, l’indipendenza e la simpatia mentre ai personaggi maschili sono concesse debolezze e sentimentalismi.

Tuttavia la società in cui viviamo risente ancora troppo (ahimè!) di un immaginario fiabesco tradizionale spesso accompagnato da una connotazione maschilista: ne è un esempio eclatante la politica dove, non appena appare un ministro donna o comunque un politico di primo piano di bella presenza, si tende quasi in automatico a sottovalutare le reali competenze politiche attribuendo le ragioni del successo a “sapienti” capacità di seduzione. Ancora molto frequente è purtroppo l’associazione fra bellezza e stupidità o, se preferite, fra intelligenza e poco fascino.

Il contrario accade di rado: anche di fronte a politici uomini visibilmente non all’altezza del loro compito difficilmente ci si domanda come abbiano fatto carriera.

  • Gli uomini si recano ai colloqui di lavoro pur avendo solo il 60% delle competenze pretese nell’annuncio. Le donne, invece, si propongono per il posto di lavoro solo se possiedono il 100% dei requisiti. C’è una spiegazione, per così dire, psicologica?

Credo che la spiegazione sia soprattutto psicologica: una donna sa che dovrà dare più del 100% perché, in quanto tale, verrà valutata anche su aspetti legati alla sua sessualità (“ha intenzione di avere figli?”, “è divorziata?”, “come dividerà il tempo fra il lavoro e un’eventuale famiglia?”); a un uomo, invece, basterà mettere in gioco le sue esperienze e le sue competenze: difficilmente aspetti della sua vita privata entreranno a far parte della valutazione. E questo non è un aspetto di poco conto.

  • Ci sono stati molti miglioramenti nella via verso la parità di genere, ma nell’inconscio collettivo – e, che lo si voglia ammettere o no, anche nel nostro profondo – sono ancora adesso radicate molte idee sessiste. Perché accade questo anche quando i genitori devono educare i propri figli?

Questo accade perché comunque nell’educazione, inevitabilmente, utilizziamo modelli che abbiamo appreso da bambini: lo stesso processo è avvenuto nei nostri genitori, nei nostri nonni e così via. Sicuramente il passaggio da una generazione all’altra comporta dei cambiamenti che lentamente stanno modificando la visione che abbiamo nei nostri figli: questo, però, non è un processo lineare e coinvolge in modo differente alcuni ceti della popolazione.

Siamo una società che sta faticosamente cambiando, che ha bisogno di leggi per accelerare cambiamenti di mentalità: ne è un esempio l’omosessualità. Nonostante non sia più considerata da anni una malattia, in molte persone è ancora associata al concetto di disturbo. E da questo punto di vista uno Stato che adotta leggi a tutela delle coppie dello stesso sesso non farà altro che accelerare un processo di modernizzazione sui pregiudizi legati alle scelte sessuali.

Anche la scuola riveste un ruolo fondamentale nel mantenere o eliminare pregiudizi sull’educazione dei figli. È ancora presente una mentalità che fa fatica ad accettare il pianto maschile allo stesso modo di quello femminile: se un bambino piange spesso viene etichettato come “frignone”, mentre una bambina è semplicemente “sensibile”.

  • Formiamo bambini che si tramuteranno in fantastici cavalieri su cavalli bianchi e che salveranno belle fanciulle in difficoltà. Dall’altra parte, insegniamo alle bambine ad aspettare di essere salvate, perché la loro missione nella vita non è lottare o combattere ma mantenersi perfette nonostante la tempesta. Esiste, secondo te, un modo per sradicare queste convinzioni?

Credo che per sradicare alcune di queste convinzioni sia necessario da una lato lavorare nelle scuole per rendere quelli che saranno futuri genitori sempre più consapevoli delle differenze e delle conseguenze di alcuni modelli educativi; dall’altro incentivare discussioni, magari attraverso i mass-media, per aiutare l’opinione pubblica ad assimilare nuove visioni della differenza fra i sessi. Lo Stato può intervenire attraverso politiche che parifichino realmente i ruoli di genere, rinforzando ad esempio per il sesso maschile i ruoli di accudimento legati alla paternità e viceversa favorendo per la donna la possibilità di conciliare sempre meglio famiglia e carriera.

  • I maschi sono quasi incoraggiati ad assumere dei rischi, mentre dall’altro lato le bambine sono incoraggiate a evitarli, viene chiesto loro di mantenersi in secondo piano, al sicuro e all’interno della loro zona di comfort. Da un lato il coraggio maschile, dall’altro la debolezza femminile. La società riuscirà mai, secondo te, ad abbandonare una volta per tutte questo modello che potremmo definire maschilista?

Come dicevo poco fa, credo che la società abbia bisogno di tempo per abbandonare il modello maschilista, che ha dominato nel tempo. Passi avanti ne sono stati fatti, anche se piccoli. Nello sport, per fare un esempio, le donne stanno pian piano occupando ruoli un tempo rivolti esclusivamente agli uomini (arbitri donne nel calcio maschile, per fare un esempio). Del resto, se guardiamo alla storia dell’umanità e alle civiltà passate, i ruoli non sono stati sempre gli stessi, così come alcuni modi di pensare: basti pensare allo sfruttamento del lavoro minorile che tempo fa era considerato assolutamente normale. Il pensiero dell’uomo evolve e con lui, anche se più lentamente, quello della società di cui ne è parte.

  • Credo si possa affermare, senza timore di essere smentiti, che la donna – secondo l’opinione media attuale – deve essere bella, delicata, perfetta, esteticamente gradevole. A lei non è richiesto di essere coraggiosa, autonoma o forte. Vorrei facessi una riflessione sull’influenza dei media in questo senso, e vorrei spiegassi quanto può essere umiliante non corrispondere a questo modello, e quanto può minare l’autostima di una donna.

Da questo punto di vista essere donna è tutt’altro che semplice: l’immagine della femminilità che spesso emerge dai media assomiglia quasi ad un supereroe! Bellezza, prestanza, maternità, carriera, perfezione. Tutto questo in un’unica persona: la donna. Le conseguenze di questa pressione sono spesso difficili da gestire: sento spesso mamme che si lamentano di non essere all’altezza di tutti questi ruoli o donne che soffrono per non riuscire ad incarnare l’ideale di femminilità proposto.

Non è un caso che in questi ultimi anni sia esplosa la chirurgia estetica e che stia prendendo piede in ragazze sempre più giovani: è come se la chimera che s’insegue non fosse più solo l’eterna giovinezza ma la perfezione assoluta. Il rischio di sviluppare una vera e propria ossessione per il proprio aspetto è elevato: diete e sport a livelli esasperati possono rappresentare il sintomo di un desiderio maniacale di controllo del proprio corpo. Diventa più facile in questo modo adottare stili alimentari malsani o addirittura sviluppare veri e propri disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia).

Il paradosso della pressione dei media è che spesso viene pubblicizzato un’ideale di donna (la modella) che non corrisponde all’ideale maschile, che invece, generalmente, tende a preferire una donna più “morbida”.

Credo che ancora una volta scuola e famiglia svolgano un ruolo fondamentale per mediare l’influsso dei media: aiutiamo i nostri figli ad accettarsi per quello che sono perché è quello che ci rende unici. Non è importante piacere a tutti ma è importante piacere a qualcuno che ci riconosca per quello che siamo, che valorizzi la nostra unicità. Anche a scuola è importante lavorare con i bambini in questa direzione: già alle elementari (10-11 anni) le bambine cominciano a sviluppare un senso estetico influenzato dai media con conseguenti offese e denigrazioni nei confronti di bambine più grassottelle o semplicemente meno belle.

Non abbiamo bisogno di una società ricca di donne stereotipate ma di una società in cui il contributo femminile sia sempre maggiore e in grado di essere unico e complementare a quello maschile.

Foto per gentile concessione di Fabio Zito (amico e fotografo)